Il viaggio delle olive dalla campagna al frantoio è un viaggio di speranza, la speranza del contadino che il raccolto dell’anno sia andato bene, che le olive siano tante e che contengano tanto olio.
Nei mesi freddi, quelli della raccolta, capita spesso di incontrare, per le strade di Puglia, lunghi incolonnamenti di trattori con rimorchi carichi di “oro”, tonnellate di olive, ore e ore di attesa per il proprio turno, il tanto agognato momento della consegna delle olive al “trappèto”.
Carciofo puglieseQuesti stabilimenti, alcuni antichissimi, altri supermoderni, riempiono le città pugliesi di rumori, clamori, voci e suoni, notte e giorno, ininterrottamente, per tutto il periodo della raccolta. Sono giorni molto intensi, giorni di grandi guadagni, certo, ma anche di tanto lavoro, perché le olive da macinare sono davvero tante e non c’è tempo per riposare: si lavora 24 ore su 24, e i soci si danno il cambio alla direzione del lavoro.
I frantoi costituiscono un ampio capitolo dell’archeologia pugliese, a testimonianza della straordinaria longevità di questa tradizione nella nostra regione. I “maestri” dell’olio, esperti lavoratori e abili mercanti, popolano queste terre da sempre, e il frantoio è un elemento che fa parte dei nostri contesti urbani con la stessa naturalezza con cui ne fanno parte le chiese. Non solo: a volte le due cose si fondono. Canosa di Puglia (Bari), centro archeologico di importanza mondiale, è città di “principi, imperatori e vescovi”, dal passato glorioso, raccontato dai più insigni scrittori latini. Qui il passato fa superba mostra di sé con i ritrovamenti archeologici che si incontrano ad ogni angolo di questa città, d’arte e cultura, ma anche città d’olio, data la sua vicinanza ad Andria. A Canosa è emblematico il reimpiego, come frantoio (nel Seicento), che ha permesso la conservazione di uno splendido Battistero (San Giovanni), fatto edificare nel Sesto Secolo dal vescovo e Patrono della città: San Sabino. A Bitonto, invece, nella località Lama di Macina, si trova un vero e proprio “cimitero” di macine, presse e vasche da olio, a ricordo di un passato che non è ancora passato,e un presente che è anche futuro. Guardare quei reperti fa riflettere su come il tempo, scorrendo, sia capace di trasportare via molti ricordi, ma anche su come, a volte, l’uomo riesca a creare qualcosa che rimane, nonostante il tempo. In quelle rovine si rivivono, come in un flashback al contrario, immagini di uomini d’oggi che lavorano come uomini di ieri, noncuranti dei secoli che li dividono, a suggello di una unione, quella tra l’uomo pugliese e la vita del frantoio, praticamente indissolubile.

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